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giovedì 30 ottobre 2008

Tropic Thunder.

Ho sempre pensato che sia molto più difficile far ridere che far piangere o suscitare emozioni.
E per questo, non ho mai capito perché il cinema snobbi in continuazione le commedie e prediliga i film drammatici o impegnati.
Questo film glissa questo stupido costume nella critica cinematografica, perché è un film che assume, nello stesso tempo, tratti della commedia demenziale e del film drammatico.
Tropic Thunder, infatti, descrive la realizzazione di un film nel film, il tentativo di fare il più gran film di guerra di tutti i tempi, progetto nel quale sono coinvolte le star di Hollywood del momento, attori proveniente dai più eterogenei generi.
Nel tentativo di creare una pellicola che sia il più efficace possibile, il regista decide di spedire questi attori – famosi ma molto spocchiosi e problematici – nel cuore della giungla vietnamita, creando una situazione che sia il più realistica possibile e li immerga nell’esperienza militare che dovranno rappresentare nel film.
L’unico problema è che si ritrovano in una vera e propria zona di guerra.
Il cast stellare di questo film nel film comprende Ben Stiller, un famoso attore di Holliwood che cerca di emanciparsi dal ruolo di attore di action movie; Robert Downey Jr., attore pluripremiato che però indulge un po’ troppo sul metodo Stanislavsky e si convince di essere il sergente afroamericano che rappresenta; Jack Black, nei panni di un attore di film trash con trascorsi (ancora attuali) di dipendenza da svariate sostanze stupefacenti.
Il gruppo si ritrova intrappolato nella giungla e, a eccezione del sergente che è convinto di essere in guerra, procede convinto del fatto che sia tutta una finzione.
E inizia la parte comica della faccenda, che fa decisamente ridere come dannati in alcuni momenti per quanto sia demenziale e ben architettata.
Ma come già detto, c’è anche la parte “seria” del film che, oltre a essere caratterizzata da un uso di mezzi ed effetti speciali decisamente spropositati per una semplice commedia, non si limita alla semplice ricchezza tecnica e al prestigio del cast. I personaggi principali non sono le semplici macchiette che siamo abituati a vedere nelle commedie e anche in molti altri film, ciascun personaggio ha una sua storia che, nonostante i risvolti comici e satirici che colpiscono il mondo del cinema e delle celebrità, dà al personaggio uno spessore umano e quasi tragico.
Il film si ritrova a dover bilanciare queste due fasi di comico-demenziale e drammatico e deve alternare gli eccessi di una fase con quelli dell’altra e riesce in questa difficile operazione, perché alcuni passi del film, se calcati troppo, avrebbero rischiato di scadere nel cattivo gusto o nella pesantezza.
Invece, ogni volta che una battuta rischia di rallentare il ritmo, ne arriva un’altra che le fa da contraltare e sblocca la situazione.
Il risultato è un film che va avanti senza intoppi e punti morti, dove il lato comico-demenziale permette di guardare con indulgenza le sparate o i buchi logici, pur avendo uno spessore tecnico e formale che un semplice film comico non ha.
Il tutto ovviamente sorretto dal cast eccezionale e ben coordinato che vede un Ben Stiller spaccone, ma in fondo sensibile, un Robert Downey Jr. con crisi di identità e un Jack Black pagliaccio, ma che alla fine si redime.
Menzione d’onore a Tom Cruise, un’irriconoscibile magnate grasso e cinico nel quale Cruise riversa una grinta e una capacità di mettersi in gioco in un personaggio negativo che non vedevo da un sacco di tempo. Il balletto finale di Les Grossman, tronfio e ridicolo, è una gioia per gli occhi e per le orecchie, data la scelta di una colonna sonora cazzuta e aggressiva che accompagna lo svolgersi delle vicende dall’inizio alla fine.

Voto 9/10
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